Una mensa a pois.


Il 20 febbraio, nell’Auditorium delle scuole elementari, è stato presentato il progetto della mensa scolastica. Il PNRR della Next Generation sta regalando a Collepasso una mensa che verrà costruita proprio dove la maestra Olgiati parcheggiava la macchina, e io scendevo dalla sua macchina perché andavo a scuola con lei (un onore). Il decreto del MIUR del 2022 rientra nel “Piano di estensione del tempo pieno e mense”. Sulla base di questo piano, il MIUR ci dà 590.000 euro per trattenere i bambini a scuola. Non era il caso di rifiutare: “No grazie, noi abbiamo già la mensa diffusa” (le nonne).

A me personalmente non piaceva restare a mangiare a scuola. La mensa ce l’avevo all’asilo e quando arrivava il sabato e pranzavo a casa ero felice. Però, non tutti i genitori possono riprendere i figli all’una. Non so quanti, ma anche fossero solo cinque bambini è bello che esista un servizio come la mensa scolastica. Insomma, non vedo tanti problemi nell’avere una mensa, l’importante è che sia facoltativa perché chi ha la preziosa fortuna di avere due genitori che tornano a casa per pranzo deve poter pranzare con loro.

E poi, dire che la mensa non serve perché a Collepasso non ci sono bambini è un po’ come auto profetizzarsi la fine e quindi non si dice. Costerà di riscaldamento e personale? Sì, costerà e peserà sui collepassesi. Ma non credo che, operativa, possa costare più di uno o due euro per cittadino al mese. (Si accettano ipotesi di calcolo nei commenti).

Al di là della discussione sulla mensa sì e mensa no e sulla sostenibilità economica, volevo solo scrivere della sua estetica (sorrido perfidamente).
Il progetto della mensa ha la firma dello studio PGSpartners di Raffaele Grasso, classe 1967, di Galatina, laureato a Venezia, con studio ad Asola in provincia di Mantova. Si occupa da sempre di ampliamenti e riqualificazioni di edifici pubblici e, dai progetti in portafoglio, si capisce che è un esperto di appalti (beato lui).

A parte il dejà-vu, in architettura ho sempre guardato ai buchi con sospetto.
Di cerchietti in sequenza, concentrici, in linea o di sbieco ne abbiamo visti tanti negli anni Sessanta su vestiti e arredamenti, ma non è neanche questo che mi disturba. La sensazione è di contemporaneo, eppure già vecchio. Di lamiera forata si son lastricate le facciate di mezzo mondo e io proprio non sopporto che sia arrivata fino in Sud Corea e ritorno. In questo utilizzo che ne fa Grasso, la lamiera protegge la struttura dal caldo e dal freddo ma i buchi fanno trapelare almeno la luce, se la struttura principale fosse di vetro e spero che lo sia (cosa che non ho capito).  In ogni caso, sempre lamiera è. E questa è pure a pois.

 Negli anni Sessanta Mina cantava “Una zebra a pois” mica per caso. Negli anni Novanta c’è stato un richiamo ai fori nelle facciate, aperture tipo oblò, non funzionali solo estetiche. Poi, per la nostra gioia, all’inizio degli anni Dieci, i pois ritornano sulla scena del design, vedere il Pop-Up Store a Londra di Yayoi Kusama (2012). Ma Yayoi bisogna capirla, è stata la regina dei pois negli anni Sessanta, e se ce li ripropone lei è perché sa che cosa farne.

Trovo che un’idea originale sia originale solo se rimane indosso all’artista, se viene replicata troppe volte alla fine sembra uscita dal cesto delle occasioni. Anche degli esagoni come le ex-mattonelle di piazza Dante sarebbero stati meglio dei pois. Almeno ci avrebbero ricordato vagamente la nostra storia. Siamo ancora in tempo?

Esempi di lamiera forata a pois sono la facoltà tecnica dell’Università’ di Odense in Danimarca (2015), l’Incheon Children Museum in South Corea (2011), la sede di Den Braven nei Paesi Bassi, (2014), il Panama Diamond Exchange a Panama.
Il mio unico augurio è che la lamiera forata non diventi una groviera arrugginita.
Sono perfida, ma per il mio paese speciale questo progetto è un po’ troppo a pois, mi dispiace. Siamo in Salento non in Nord Europa. Avrei desiderato più studio e più immaginazione per i nostri bambini.

Nota a valle dei commenti ricevuti post-pubblicazione: la mia è solo una critica ai pois, come dice il titolo. Non metto in discussione la professionalità degli autori ma la scelta. Ho messo mano all’articolo per questo perché se il messaggio che arriva oltrepassa quello che voglio dire è giusto metterci mano. No! Non è in discussione la professionalità, ma essendo un’opera d’arte, uno ci si mette davanti e ascolta le proprie sensazioni. Penso anche che la mensa sia giusta, vada fatta e che il progetto è contemporaneo. Poi mi dilungo un po’ sui pois ma gli architetti ci sono abituati alle critiche. Quando fu costruito il Centre Pompidou i Parigini lo volevano buttare a terra, adesso è il mio palazzo preferito e spero che anche la mensa lo diventi.

Lascia un commento